La pittura di Tullio Tulliach si articola di momenti e atmosfere diverse, con un gusto contemplativo e disamina del soggetto in un deliberato carattere culturale e da rivisitazione in alcuni casi, attraverso uno stato d'animo che conferisce alle opere un tanto di riflesso, solenne mente contemplato dalla luce, sortendo un segreto e sottile fascino che involge passato e presente. Tulliach nion anticipa e non precorre cammini, si limita a ricostruire la creatività che vede, filtrandola con sostanziale intuito, esprimendosi in una gamma cromatica deliberatamente di origine metafisica, adattando la composizione al misticismo dell'ambiente. Una realtà che si arricchisce di coscienza e di razionalità, non solo come modello visivo ma anche come verità nella nemesi.
Il dissidio tra esteriorità e contenuto, in questo caso, non comporta drammi bensì diviene stimolo per andare "dentro alle cose" in una stesura luminosa e tecnicamente pianificata, che accentua contrasti psicologici che hanno origine dall'animo umano.
I misteriosi archetipi del nostro più profondo substrato singolo e collettivo si fondono davanti alle opere di Tulliach, tra un caldo esplicativo ed un freddo evocativo. Esiste nel pittore istriano (dal 1952 in Piemonte) un senso di religiosità che si rivela in una comunione assorta e silente con la natura in un paziente esercizio di osservazione che assume la veste di imparziale trascrizione di apparenze misteriose nascoste nell'aspetto stesso della natura, delle abitazioni rurali e della gente.
Il sentimento del divinismo e dell'ingoto riflesso dal silenzio di un bosco di betulle si tinge di indefinibile sgomento, e nel medesimo tempo di incanto quasi infantile, in attesa inconsapevole di eventi sconosciuti, mentre un sottobosco distilla ombre e fogliame per dare vita ad un palcoscenico sul quale potrebbero (e forse l'hanno fatto) recitare gnomi e folletti. Pioppeti di tronchi allineati provocano giochi geometrici e pare scorgere impettiti fantasmi ad attendere lo scoccare di ore che non si contano. Una stradina selciata di pietre dove l'artista ha sentito cantare il rigogolo, ci riporta più lontano nel passato quando il piede dell'uomo andava sereno verso i suoi momenti contemplativi, magari dopo avere tagliato un albero senza torgliergli la vita.
Viaggiare con Tullio Tulliach è andare tra campi di grano e fiordalis1, mentre sulle cascine passano matasse bianche tessute da mani invisibili. Ed è ancora la luce a vivificare le colline e far maturare i vigneti con il verde e l'azzurro che si fondono in una suggestione che si muta in una compressione di sentimenti e nel frattempo, in un'altra scena, i grandi e vecchi alberi vigilano sui prati che non devono essere calpestati da chi non sa udire la voce che proviene da una magia atempora1e. I1 silenzio, sempre, incombe sulla natura di Tulliach e le prime luci del cielo vanno a spegnere le goccie di fiamma che escono da finestrelle di case, dimora di gente anonima.
Sono immagini che Tulliach ha visto e sentito nelle nostre campagne, tra Avigliana e Orbassano, nei boschetti della Valsusa e dei roeri quando la sera imbruna e nei giorni che l'autunno pensa all'imminente freddo. La forza metafisica del pittore scopre nuovi addendi di racconto magico il temporale che incombe sulla cascina con un solido e resistente cavallo o che si preannuncia con folate di vento e le nubi in lutto a promettere danni. Ma poi giunge l'arcobaleno a tingere di speranza la nuova luce.
La ricerca di Tulliach, nell'urgenza di fare pittura autentica e nell'ansia di trovare luoghi dove scavare attimi di vita, si è spostata, verso il 1985 nelle spiagge, tra i monti e i sassi della Gallura, terra sarda non avara di colori e calori ma soprattutto suggeritrice di sensazioni impalpabili, quindi metafisiche. Per dare forza ad interpretazioni naturalistiche di assoluto distacco dal
vero indagato e vissuto, Tulliach guarda dalle grandi finestre che non lo tengono prigioniero ma liberano i suoi pensieri verso nuove entità. Finestre al di quà delle quali lo spirito dell'uomo si identifica ora in una lampada accesa e un gomitolo di lana verde, ora in una rosa rossa, in un cactus, una pietra, una pigna, una bottiglia, una cassetta vuota, una barchetta di carta, rivisitando pure una raffigurazione raffaelliana con cavallo, guerriero e drago su una stradina di campagna.
Simboli del vivere lottando, della quotidianità senza storia, della storia come unico approdo di salvezza. A ben guardare tutto è simbolo per Tulliach che ha saputo immergere nell'onirico il dato reale senza frastornarlo di sogni perturbati e di amletiche dissertazioni, riproponendo tutta una serie di «favole» con tanti personaggi persino cronachistici come l'esodo istriano, olocausto dei nostri giorni, con l'asino, il carretto, un vecchio materasso, due sedie e un ombrello, ricchezza ultima dell'uomo e sua fam1glia.
Personaggi ancora nelle «nature morte», castagne e cesto, foglie d'autunno, mappe di granoturco, il vaso con fiori, astri nella notte. Tullio Tulliach dipinge la ectoplastica entità che popola il mondo, vicino e lontano vestita di natura, di case, di gente, di cose, in una luminosità tesa ed intensa, riproponendo il tema dell'essere e dell'esistere in una trasparenza di intenzioni congetturali che diventano motivo per indagare nelle strutture piu segrete della vita.
Vittorio Bottino - 1988